Trovo che sia straordinario come i bambini trasmettano con tanta semplicità messaggi importanti e soprattutto come siano capaci di darti tutte le risposte che stai cercando all’improvviso, spiazzandoti. Certo, questo accade sempre e solo se riesci ad ascoltarli autenticamente e avendo prima creato una relazione basata sulla fiducia reciproca e il rispetto.

E’ successo qualche giorno fa, quando una bambina, con cui sto lavorando pedagogicamente sulla sua demotivazione scolastica e sulla sua difficoltà nello staccarsi dalla mamma ed entrare a scuola ogni mattina, mi ha detto: “La mia maestra urla sempre. Urla perché i miei compagni fanno caos. Io ho paura perché magari qualche volta urlerà contro di me”.

Da questa situazione sento necessario sviluppare una riflessione sull’abitudine che alcuni insegnanti, e genitori, hanno di gridare con l’intento di educare.

È vero che alle volte i bambini sanno metterci a dura prova, ma per quanto si possa perdere la pazienza, gridare non è mai la soluzione più efficace.

Lo ammetto: è capitato anche a me di urlare, ma sono state rare le volte. Primo perché ho il tono di voce molto basso e quando urlo l’effetto è di produrre uno strano stridulo con l’effetto di far ridere e, secondo, perché mi son resa conto a quanto poco servisse.

Chissà se gli insegnanti e i genitori che urlano di non urlare hanno mai riflettuto su questa frase.  Sì, i bambini staranno tranquilli cinque minuti (forse) ma poi lo si sa benissimo che ricominceranno.

E’ interessante notare come spesso si grida per esortare i bambini a non alzare la voce dimostrando però, al tempo stesso, che l’unico modo per dialogare è quello di sbraitare senza dire qualcosa di interessante.

In realtà, se un bambino sente urlare frequentemente, quello che prova è un senso di malessere e dentro di sé finirà per associare il malessere al posto in cui si trova. Inoltre, i bambini che vivono costantemente esperienze in cui l’urlare rappresenta la principale modalità di interazione e di stile educativo è probabile che saranno più propensi a manifestare atteggiamenti aggressivi o difensivi, avranno più evidenti alterazioni di stato d’animo, compromettendo la propria stabilità emotiva e la capacità di mantenere alti livelli di concentrazione.

Come fare a richiamare il silenzio e l’attenzione senza urlare?

Cerca di capire se i bambini sono agitati o distratti perché quello che stanno facendo non è stimolante. Nel caso della scuola, se la classe è interessata difficilmente farà cose per cui dovresti metterti a urlare. Incuriosiscili, attraili e coinvolgili attraverso metodologie piacevoli, giocose e divertenti. Utilizza strumenti tramite i quali poter fare esperienza pratica, dinamica e se ti accorgi che in quella giornata c’è particolare agitazione sii capace di cambiare il programma, i tempi e i modi con cui sviluppare l’attività.

Dipende dall’età dei bambini, ma senza urlare si può richiamare al silenzio: trova delle routine, delle frasi, dei gesti o delle canzoni che i bambini identificheranno come incipit da cui partire per modulare la voce o incanalare l’attenzione (per esempio: batti le mani a ritmo, comincia a contare, parlare o cantare diminuendo di volta in volta il tono della voce, usa frasi o comandi brevi, immediati e coincisi, ecc.), con i bambini più grandi utilizza strumenti come clessidre (quando il tempo scade “vince” chi prima ha fatto silenzio), parla comunque con tono pacato, ma fermo e deciso. Sembra strano e difficile, ma a volte il silenzio chiama il silenzio!

Devi avere fiducia nella tua competenza di insegnante o genitore. Il più delle volte si perde la pazienza e si alza la voce perché ci si sente vulnerabili e impotenti di fronte a certi comportamenti di alunni o figli. Ciò che contraddistingue una buona figura educativa è quella di avere ben chiari quali sono i principi e le regole che si vuole far rispettare e assumere il comportamento di una guida sicura e rassicurante.

Dott.ssa Elisa Trezzi

Pedagogista